Il covo di via Massimi
La nuova commissione di inchiesta parlamentare sul caso Moro ipotizza la presenza di una base brigatista nelle vicinanze del luogo dell’agguato. In particolare l’attenzione si posa su il complesso residenziale di Via Massimi 91.
Ancora una volta però, le conclusioni della Commissione, rivelando la sua impostazione “dietrologica” si basano su flebili indizi e contorti ragionamenti logici.
Una commissione alla ricerca di una verità alternativa
La nuova commissione di inchiesta
parlamentare
sul rapimento e la morte di Aldo Moro, nei suoi tre anni di attività,
ha speso molto del suo tempo per indagare su una presunta base
brigatista situata in un garage, nei pressi di via Licinio
Calvo utilizzato dalle br per il trasbordo di Moro e
l'occultamento delle due
auto 128 usate nell'agguato in via Fani.
Proprio nell'indagine sul nuovo
covo
brigatista, si è estrinsecata tutta la visione “dietrologica” della
commissione. Del resto, ancora una volta, nei documenti prodotti è
chiarissima la linea di condotta utilizzata. Nella 2° relazione
sull'attività della commissione. si afferma in premessa
È stato in tal modo
possibile dare sostanza a un’ipotesi, da tempo sostenuta da varie
fonti, sulla presenza di una base brigatista non lontana da via Fani,
ipotesi che muove dagli elementi di inverosimiglianza del racconto
della fuga dei brigatisti da via Fani presenti “Memoriale Morucci” CPM2, 2°
Relazione sull’attività svolta, 21/12/2016, pag 66
Si vede chiaramente che le
indagini della
commissione, non sono state, indirizzate, senza preconcetti, alla
ricerca di nuovi riscontri oggettivi in grado, eventualmente, di
integrare quanto finora emerso; hanno invece avuto un obiettivo
preciso: dare sostanza ad un'ipotesi sostenuta da varie fonti, ipotesi che si basa, tra l'altro, sull'inverosimiglianza, (...)
del memoriale Morucci.
Inverosimiglianza, che, malgrado gli sforzi compiuti durante tutti i
lavori, resta un'idea della commissione, in quanto, al di la di
ipotetiche ricostruzioni di parte, dai rilievi tecnici svolti, non è
stato rilevato nessun elemento in contraddizione con le affermazioni
dei brigatisti, anzi, in alcuni casi, vedi la famosa moto Honda, la
presenza del brigatista sulla destra di via Fani, il numero di armi che
ha sparato nella agguato, sono venute schiaccianti conferme.
Le
tracce ematiche
Delle ipotesi formulate dalla
commissione
Moro, relative all'abbandono delle auto brigatiste in via Licinio
Calvo, che indicherebbero la presenza di un covo nei pressi di via
Fani, ci siamo ampiamente occupati in un articolo specifico, le auto in via Licinio Calvo.
Dobbiamo però tornare alle auto per dar conto di una delle più
fantasmagoriche intuizioni della commissione.
Sulle auto abbandonate dai
brigatisti in via
L. Calvo furono rinvenute alcune macchie di sangue, ebbene partendo
solo da questo dato oggettivo, i commissari, nella seconda relazione
sulle attività svolte, si lanciano in una lunga serie elucubrazioni
degne della fantasia del miglior Sherlock Holmes In particolare non
possiamo fare a meno di segnalare la parte che riguarda la 128 blu.
Ma le più particolari
sono
le macchie di sangue sul deflettore sinistro, sul vetro e sul
rivestimento interno sopra la spalliera anteriore sinistra, come se il
conducente avesse avuto difficoltà, per lo spazio esiguo, ad entrare
nell’autovettura. Questo rafforzerebbe il convincimento del parcheggio
del mezzo in un luogo chiuso, per essere poi portato solo in un secondo
tempo in via Licinio Calvo.
Ibid., pag 73
Partendo da semplici macchie di
sangue
all'interno di un'auto, attraverso mirabolanti ragionamenti logici, di
cui, però, non ci è dato sapere, i commissari riescono a capire che un
brigatista ferito ha avuto difficoltà ad entrare nell'auto a causa
dell'esiguo spazio in cui è posto il veicolo. Davvero stupefacente!
Peccato che ancora una volta si
tratti
dell'ennesima ipotesi astratta, senza il minimo riscontro oggettivo,
che serve alla commissione per avvalorare la tesi, tanto cara, del
presunto covo non identificato.
Tante voci, nessun
riscontro
Quali sono gli elementi che
indirizzano la
commissione Moro verso l'esistenza della base in prossimità di via
Fani? Sempre nella 2° relazione, presentata nel dicembre 2016, ne sono
indicati tre:
le indicazioni di una
fonte riservata della Guardia di finanza attiva nell’epoca del
sequestro Moro; alcuni accertamenti compiuti a suo tempo dalla Polizia
sia nell’imminenza dei fatti sia a seguito della pubblicazione di un
articolo dello scrittore Pietro Di Donato; gli elementi logici emersi
dalla verifica della tradizionale ricostruzione della fuga dei
brigatisti alla luce di una rilettura complessiva delle testimonianze
acquisite a ridosso degli eventi Ibid., pag 75
Delle mirabolanti capacità
logiche della
commissione ne abbiamo già ampiamente parlato sia in questo articolo
che, nel già citato Le auto in via Licinio Calvo,
pertanto dedichiamoci agli altri due.
Iniziamo dalla segnalazione
della Guardia di
finanza. In un primo
appunto, già del 17 marzo una fonte riservata della GdF, segnala che; Aldo Moro detenuto nella zona“Balduina-Trionfale-Boccea-Cassia”
Il
21 marzo il Comandante generale dell'arma riferisce circostanze più
particolareggiate fornite dalla stessa fonte anonima.
quanto prima lo
statista
sarebbe stato trasferito nella “prigione del popolo”, verosimilmente a
mezzo pullman con il sequestrato narcotizzato e nascosto nel vano
bagagli, o con autocarro con doppio fondo. Dagli atti risulta che la
fonte non fu in grado di delimitare meglio la zona che aveva indicato,
esprimendo solo un suo parere riguardo a un raggio di circa due
chilometri da via Fani Ibid.
Il 22 marzo, la solita fonte
anonima precisa:
la
presenza di un
covo brigatista nella zona suddetta, ubicato ad un piano elevato, 5°,
6° o 7°. A questo appartamento/covo sarebbe stato possibile accedere
dall’ingresso principale con un ascensore accessibile anche dal garage”
interrato”.Ibid.,
pag. 76
Il generale, Raffaele Giudice
Comandante generale della guardia di
finanza riferisce, puntualmente delle informative nelle riunioni del 21
e del 22 marzo del comitato tecnico operativo istituito dal ministro
Cossiga.
Tutto qui. Solo tre segnalazioni
di fonte rimasta anonima che non trovano nessun riscontro oggettivo
nelle indagini svolte.
Della fragilità della
segnalazione deve
rendersi conto la stessa commissione che, per aumentarne la
credibilità, va a ripescare una delle centinaia di telefonate anonime,
che subissano i centralini della polizia in quei giorni, in cui uno
sconosciuto dichiara:
che in via Massimi,
via Anneo Lucano, via
Licinio Calvo «sarebbero nascoste le Brigate rosse e lui [l'autore
della telefonata] ci avrebbe indicato l’appartamento che si accede
attraverso un garage». ibid
Chiaramente l'anonimo non si
rivela e non
conduce le forze dell'ordine da nessuna parte, ma questo ai commissari
non interessa, Quello che preme sottolineare alla commissione è un
particolare, che, secondo loro, rende l'informativa della guardia di
finanza e la telefonata anonima “sovrapponibili”. Il
particolare è “il legame garage-covo” che
francamente è la cosa più ovvia che si possa pensare. Del resto nella
stessa prigione di via Montalcini, come naturale, è presente un garage
ed un covo.
Ma la relazione fa di più, per
avvalorare la
rivelazione della guardia di finanza si lancia in affermazioni del
tutto opinabili:
Tale fonte, mai
identificata, opera sin dalla fase iniziale del rapimento e, non
risultando retribuita, può identificarsi in persona di qualche
caratura, ben nota ai gestori della stessa. Il valore delle
informazioni fornite appare notevole ed essa non può essere confusa con
le molteplici e spesso incongrue segnalazioni che giunsero alle Forze
di polizia durante tutto il sequestro Moro. CPM2, 3°
Relazione sull’attività svolta, 6/12/2017, pag. 259
Non si capisce in base a quali
ragionamenti
una fonte non retribuita (tra l'altro non è spiegato come i commissari
siano venuti a conoscenza di questo particolare) sia più attendibile,
essa rimane sempre una fonte anonima ed il valore delle informazioni
resta quello di una fonte non controllabile. La considerazione, poi,
sul valore delle informazioni rispetto alle “incongrue
segnalazioni” sembra tanto la classica excusatio non petita
Ancora più astrusa è un'altra
affermazione espressa nella seconda relazione della commissione:
Il 28
marzo, nella
riunione delle 19.30, Giudice riferì: «Continueranno i pattugliamenti
nella zona di Monte Mario». Ciò sembrerebbe confermare l’elevato grado
di attendibilità che la Finanza riponeva nella propria fonte. CPM2, 2° relazione..., cit. pag. 77
Monte Mario è la zona dove si è
svolto
l'agguato e quindi è per questo motivo che si continuano i
pattugliamenti nella zona e non certo per l'informativa della GdF.
Non si può, infine, fare a meno
di dedicare qualche istante al Generale Raffaele Giudice.
Raffaele Giudice comandante
generale della
guardia di finanza nel periodo del rapimento Moro, risultò
nell'elenco degli iscritti alla Loggia P2. Più volte citato nelle
relazioni, la sua appartenenza alla P2, però, viene sempre omessa,
anzi, ci si affanna ad accreditare, come attendibili, le informazioni
date dal generale Giudice stesso e dai suoi sottoposti.
Eppure sull'influenza della
loggia P2 nella vicenda Moro la
commissione ha idee ben precise. Nelle conclusioni finali della terza
relazione, afferma: (1)
Emerge, al contrario,
come si sia innestata
sull’operazione militare delle Brigate rosse ’l'azione di una pluralità
di soggetti, che per ragioni diverse, influirono sulla gestione e
tragica conclusione della vicenda. In questo ambito può collocarsi
certo la presenza di persone legate alla P2 in diversi ambiti
istituzionali, dai Comitati di crisi istituiti presso il Ministero
dell’interno, ai vertici dei Servizi e della Forze di Polizia, alla
Magistratura, (...) che in alcuni casi, come evidenziato dal lavoro
delle Commissione Stragi, rispondevano a plurime fedeltà. CPM2, 3°
Relazione..., cit, pag. 271
Il generale Giudice rientra
nella categoria
dei pidduisti che influirono sulla gestione della vicenda Moro? Perchè
la Commissione non cita la sua appartenenza alla loggia P2? Forse
perché tale notizia avrebbe sminuito la credibilità dell'informativa
della GdF così cara a chi sostiene la tesi della base in Via Massimi.
Covi br e donnine
nude
Altro elemento che ha
indirizzato la
commissione Moro nella ricerca della misteriosa base posta nei pressi
di via Fani è un articolo dello scrittore Italo-americano Pietro di
Donato dal titolo "Cristo nella plastica".
L'articolo pubblicato nel
dicembre del 1978
sulla rivista Penthouse, nota più per la presenza, nelle sue pagine, di
donnine nude che per articoli di attualità, ricostruisce il periodo
della prigionia di Aldo Moro nelle mani delle brigate rosse. Di Donato
si sarebbe avvalso delle confidenze di due brigatisti ”amicI" della
famiglia Moro”
La copertina del
numero dicembre 1978 di Penthouse dove è pubblicato articolo di DI
Donato "Cristo nella plastica
Secondo di Donato, come riportato
da un
articolo di Panorama del dicembre 1978, il capo delle BR che interrogò
Moro, si chiamava Zucor “
era
cattolico, che
andava a messa tutte le domeniche, che era molto affezionalo alla
madre (nella sua stanza della prigione del popolo, Zucor aveva
attaccato ai
muri i crocifissi e i rosari della madre). Panorama, 3/12/1978, pag. 143
Durante gli interrogatori
rivolgeva al presidente della DC domande del tipo: “E vero
che la moglie del presidente Leone faceva le orge nella villa Le Rughe?”
Nell'articolo sono citati anche
altri episodi incredibili.
come quello di Paolo
VI che avrebbe fatto dire
messa su un elicottero che sorvolava la casa di Moro o quello di
Eleonora Moro che insulta Poletti e Fanfani, chiamandoli pederasti,
puttane e codardi e scagliando contro di loro un vaso di fiori. Ibid,
pag 144
Le suddette amenità, che
minerebbero la
credibilità di qualsiasi racconto, non sono minimamente prese in
considerazione dalla commissione Moro. L'unica cosa che interessa, in
linea con la tesi del covo segreto, è il riferimento, più volte citato
nelle relazioni, di Di Donato ad "un
garage sotterraneo di un grosso complesso residenziale, della Balduina,
dieci minuti da via Fani"
Allo scritto di Di Donato dedica
grande
spazio il quotidiano romano “Il Tempo”, che in un articolo del 15
novembre 1978, dal titolo “Uno scrittore americano
“ricostruisce” il caso Moro, a firma di Giuseppe Longo,
riferisce del fantasioso racconto dello scrittore italo-americano.
La magistratura, con
una solerzia davvero
encomiabile, avvia subito indagini in merito, e già due giorni dopo
l'articolo il 17 novembre il dirigente Marinelli del commissariato
Monte Mario relaziona sulle indagini svolte.
si fa presente che in
via
della Balduina n.323 esiste l'accesso del garage privato di due
palazzine che hanno ingresso principale in via Massimi 91 di proprietà
dell''Istituto Opere religiose, con sede in via della Conciliazione 10.
L'ingresso di tale garage è isolato ed è stato ricavato da un muro alto
circa tre metri e lungo circa cento metri. Trattasi in effetti di un
muro di cinta del complesso immobiliare sopraindicato' che potrebbe
essere quello indicato nell'artico e definito "mimetizzato". Anche tale
autorimessa è stata ispezionata ma nessun elemento è emerso a conferma
di quanto riferito nell'articolo Verbale del 17/11/1978
Via Massimi 91
Il verbale sulla palazzina di
via Massimi
scompare tra le centinaia di relazioni relative a controlli che hanno
data esito negativo.
E' la nuova commissione Moro,
con la sua voglia di trovare per
forza un indirizzo alla fantomatica base segreta brigatista, che
rispolvera il verbale di Marinelli.
L'ingresso di via
Massimi 91. In questo
stabile secondo la commissione Moro potrebbe esserci stata la base
brigatista dove è avvenuto il trasbordo di Moro e dove sono state
nascoste le due 128 usate nell'agguato
Che cosa guida la commissione
alla palazzina di via Massimi 91? Come abbiamo visto ci sono solo
indicazioni generiche “di una base nei pressi della Balduina".
Indicazioni anonime fornite da: una fonte riservata segnalata da un
generale pidduista; una telefonata di un probabile mitomane ad un
commissariato; uno scrittore americano che ci narra di capi brigatisti
cattolico praticanti con crocefissi e rosari appesi al muro. Fa
veramente impressione come una commissione che usa la più piccola
discrepanza tra l'appuramento dei fatti e il testo del memoriale
Morucci per ribadire l'inaffidabilità dello scritto, possa considerare
attendibili simili affermazioni.
E non si può non provare un
senso di
tenerezza nei confronti della stessa commissione quando, nello sforzo
di avvalorare il collegamento tra la 132 brigatista e il garage di via
Massimi, con il suo solito acume, rileva che:
[Sulla 132] in
prossimità
dell’angolo posteriore destro del canaletto della sede del bordo del
coperchio del portabagagli, si rinvengono altre infiorescenze arboree
ed alcuni peli, contrassegnati con la lettera “O”».
In
proposito è stato accertato che da via Massimi era possibile accedere a
piedi o in auto da via della Balduina, per giungere al civico 323, di
accesso al comprensorio dello IOR. Il tratto era però disagevole, con
fessurazioni dell’asfalto ed erbacce, nonché stretto tra il muro di
cinta del predetto comprensorio ed una macchia di sambuchi, frequentata
da animali randagi, che potrebbe dare ragione delle infiorescenze e dei
peli. CPM2, 2° relazione...,
cit. pag. 79
In mancanza di una comparazione
scientifica,
ormai impossibile, tra le infiorescenze ed i peli rinvenuti sulla 132 e
quelli eventualmente presenti in via Massimi che senso ha
un'affermazione del genere? Quanti sono a Roma gli accessi con le
stesse caratteristiche rilevate in via Massimi.
Quello che invece bisogna notare
è che,
secondo l'ipotesi della commissione, la presunta base brigatista deve
avere un garage molto ampio che, pochi minuti dopo l'agguato, possa
contemporaneamente contenere sia la 132 per il trasbordo di Aldo Moro,
sia le due 128 che resteranno al suo interno fino al successivo
parcheggio in Via Licinio Calvo. In via Massimi invece:
L’interno
del garage è composto da un lungo corridoio sul quale si affacciano i
box privati muniti di porte ed inferriate. Relazione di servizio, 16/11/1978, in CPM2,
1° Relazione sull’attività svolta, 10/12/2015, pag 265
quindi il garage della palazzina
di via
Massimi, con box che normalmente possono contenere una sola auto, è un
luogo assolutamente incompatibile con lo scenario proposto dalla
commissione.
Una volta individuata la
presunta base, la commissione,
nel più classico stile dietrologico, effettua lo “screenig” degli
abitanti dello stabile di via Massimi 91 elencando le figure a suo dire
in qualche modo sospette.
Gli accertamenti
condotti
hanno evidenziato la presenza nel complesso di un milieu abbastanza
elevato e di alcuni cardinali e prelati, come il cardinale Egidio
Vagnozzi, (…) e il cardinale Alfredo Ottaviani. Risulta inoltre, da
alcune testimonianze, un’assidua frequentazione del complesso da parte
di monsignor Paul Marcinkus CPM2,
3° Relazione..., cit, pag 261
Effettivamente risulta strana la
presenza di
cardinali e prelati in un complesso di proprietà dello Ior (Istituto
opere religiose)! A parte i religiosi, la commissione ci fornisce un
elenco alquanto eterogeneo. Abbiamo la giornalista tedesca Birgit
Kraatz, compagna di Franco Piperno, la sede di una società “la
Tumpane”che svolgeva attività di intelligence a beneficio di
organo informativo militare statunitense , [i cui], i
titolari statunitensi [sembra ]appartenessero ad ambienti del
cattolicesimo tradizionalista statunitense.
Cè anche un finanziare libico Omar Yahi legato all’intelligence libica
e statunitense e collaboratore del SID italiano. Francamente non si
capisce il nesso tra queste persone e la presunta base brigatista. E
quale sarebbe stato il loro ruolo nell'operazione di via Fani. La
commissione non si perita certo di spiegarlo, limitandosi ad un
criptico la presenza [dei suddetti personaggi] in via
Massimi 91
conferma la densità delle presenze di intelligence che caratterizzò
quel condominio.
Prospero Gallinari in via
Massimi.
Ma tra tante considerazioni
astruse, le
indagini della commissione Moro, mettono a segno un bel colpo:
l'individuazione della presenza di Prospero Gallinari in via Massimi.
Nell'ultima relazione
sull'attività svolta
dalla commissione Moro, si riporta la testimonianza di due persone, i
cui nomi non vengono svelati
la donna, con
trascorsi
nel femminismo militante e attiva nel collettivo di via del Governo
Vecchio, strinse una relazione piuttosto stretta con una brigatista
della colonna romana, Norma Andriani (…) mentre l’uomo, anche se
appartenente alle Forze armate, frequentava ambienti extraparlamentari
(…) Questa rapporto indusse la Andriani a proporre di ospitare un
compagno, che – secondo quanto dichiarato dagli interessati – solo
successivamente i due identificarono in Prospero Gallinari. In una
prima fase ci fu un impegno a ricercare un alloggio per Gallinari, ma
poi si ritenne preferibile ospitarlo in via Massimi 91, dove Gallinari
rimase per alcuni mesi dell’autunno 1978, CPM2, 3° Relazione..., cit,
pag 266 -267
Il racconto ha il riscontro
dello stesso
Gallinari che, nel libro scritto nel 2006, parlando del periodo
successivo all'assassinio di Moro, ricorda:
Io vengo ospitato da
due persone pulite, marito e moglie che per la loro posizione sociale
assicurano una buona copertura. Prospero
Gallinari, Un contadino nella metropoli, (Milano, Bompiani, 2006)
pag.201
Bisogna sottolineare che
Gallinari abita in
via Massimi in un periodo successivo al rapimento Moro. Su ciò non ci
sono dubbi. Lo affermano i due testimoni, lo scrive Gallinari, e lo
conferma il fatto che Andriani e Brogi, coloro che sono il tramite tra
i due abitanti di via Massimi e Gallinari, entrano nelle br nel giugno
1978, ovvero dopo la conclusione della vicenda Moro.
La presenza di Galliani, in via
Massimi,
quindi, non ha nessuna relazione, almeno apparente, con l'ipotesi del
Garage utilizzato dalle br. anzi, ma qui siamo solo su un piano
logico, proprio il fatto che Gallinari vada ad abitare in quella via
presso dei fiancheggiatori, potrebbe dimostrare che le br non
possedessero in via Massimi nessuna base.